Volontariato: come rendere vive cose e persone in 5 passi

Più di 5 milioni di italiani dedicano parte del loro tempo al volontariato. Ma come mantenere e alimentare i servizi sul territorio? Come mettere in rete il dono? Come il volontariato rende vive cose e persone?
Franco Micucci, assistente sociale, ha fondato nel corso degli anni vari associazioni con l’obiettivo di alimentare la partecipazione attiva delle persone. ReteViva insieme all’associazione Ubuntu di Macerata sono una reale manifestazione di come si può creare rete sul territorio a servizio della persone. A lui abbiamo chiesto di raccontarci quali sono stati i 5 passi fondamentali che hanno permesso alla rete di diventare un punto di riferimento per la città.
1. Osservare e ascoltare
Reteviva nasce dal desiderio di rispondere ai bisogni delle persone più ai margini della società, a partire dai più anziani. Abbiamo incontrato la malattia, la solitudine, la perdita delle capacità, l’essere messi da parte, l’improduttività … Le stesse persone che soffrivano di questa “perdite” erano anche depositari di talenti e conoscenze preziosissime per tanti giovani, ma non solo. Volevamo assicurare la trasmissione delle tradizioni e della memoria alle nuove generazioni.
Con il fenomeno dell’allungamento della vita, ci sembrava che il periodo della pensione diventasse una grandiosa opportunità di crescita personale, ma soprattutto collettiva. Ci siamo lasciati ispirare dall’idea della fraternità universale e così abbiamo cercato di “abbattere” quei muri che dividono le persone per età, estrazione sociale, professionalità, censo. Come? Attraverso il dono del proprio tempo per chiunque ne avesse bisogno. Siamo partiti da qui per rendere vive cose e persone
2. Ampliare la rete
E cercare spazi in cui condividere i valori. Non abbiamo preteso di partire da zero. Eravamo coscienti che nei gruppi, informali o più strutturati, questi valori vengono già vissuti e concretizzati. Sono come degli “scrigni” in cui sono conservati dei tesori nascosti!
Così abbiamo incontrato alcuni gruppi per attivare la rete ed iniziare a scoprire nuove possibili relazioni personali, oppure per valorizzare quelle già esistenti.
3. Mettere in rete
In questi gruppi, abbiamo fatto il gioco della “Città Colorata”: distribuendo dei semplici post-it di due colori ai partecipanti, abbiamo invitato ognuno a scriverci su uno la disponibilità a fare qualcosa e su un altro la necessità che qualcuno ci faccia qualcosa.
In queste occasioni, abbiamo sperimentato che disponibilità e necessità si incontravano in modo sorprendente e nuovo, anche in gruppi di lunga data e composti da persone che si conoscevano da tempo si creava la possibilità di crescere grazie alla conoscenza, fiducia, appartenenza.
Abbiamo raccolto disponibilità e necessità in una specie di “banca dati” ed abbiamo iniziato a facilitare degli “scambi di reciprocità” in cui si incontravano: li abbiamo chiamati “scambi” perché alla fine del tempo anche chi aveva donato capacità e/o conoscenza se ne tornava a casa arricchito di umanità, ascolto, valorizzazione, amicizia, fraternità …
4. Creare luoghi di incontro
Pur iniziando a realizzare i primi “scambi di reciprocità” a domicilio delle singole persone, queste relazioni si sono moltiplicate ed amplificate una volta trovata la disponibilità di alcuni locali vuoti da parte di una parrocchia.
Con il pieno appoggio e la collaborazione di un parroco lungimirante, gli “scambi” sono potuti diventare “laboratori” visto l’aggregarsi spontanei di tanti che erano interessati a quella disciplina, quell’arte o quell’argomento.
A domicilio questo progetto si sarebbe limitato moltissimo, mentre l’aver avuto la possibilità di utilizzare un luogo “terzo” ha permesso di far crescere la Rete. Comunque, abbiamo mantenuto una serie di servizi a casa, come la compagnia, le piccole commissioni e la lettura.
Con il tempo, sono cresciuti esponenzialmente disponibilità e necessità: le relazioni umane sono diventate generative di una socialità in cui tutto è sussidiario, fraterno, gratuito, accolto e prezioso.
Da un punto di vista organizzativo, è stato necessario avere una “forma”: così ci siamo costituiti fin da subito in un’Associazione di Promozione Sociale chiamandola UBUNTU che in lingua swahili significa “io sono in quanto noi siamo”.
Un aspetto non ultimo è la coscientizzazione dei partecipanti alle spese: attraverso un sistema chiamato “adozione”, ogni partecipante sostiene l’intero progetto di Reteviva contribuendo alle spese con una quota mensile, a prescindere dal numero di laboratori a cui partecipa o il tempo che trascorre in Reteviva. Ciò ci ha permesso di renderci abbastanza autonomi finanziariamente.
5. Comunicare
Un aspetto non secondario è l’investimento in comunicazione. Comunicazione interna: il rischio di chiudersi è forte in ogni gruppetto o laboratorio che è nato, ma far circolare ogni novità tra tutti permette di garantire l’unità di Reteviva e di creare nuove “sinapsi” tra i partecipanti. È particolarmente importante in questo periodo, dove il semplice dirsi “buongiorno” su una chat garantisce la continuità dei rapporti umani anche senza essere in presenza!
Comunicazione esterna: ogni iniziativa è stata sufficientemente pubblicizzata soprattutto per rendere visibile ciò che abbiamo fatto, per un dialogo con il contesto sociale ed istituzionale con cui, nel tempo, abbiamo progressivamente collaborato in numerose iniziative.
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